Una ricerca del CultiLab delle facoltà fiorentina di Agraria mette in relazione contagi sul territorio e tipologie di coltivazioni, dimostrando come le aree non intensive siano il modello da seguire per ripartire.
“Abbiamo indagato la relazione tra i casi di contagio rispetto ad un tema poco esplorato – racconta il professor Marco Agnoletti, responsabile scientifico del programma Fao per la tutela dei Paesaggi agricoli – cioè il territorio rurale. Eppure l’agricoltura è considerata un servizio essenziale particolarmente in questo stato di crisi. E’ quindi importante capire il rapporto fra i modelli di agricoltura e la diffusione del virus anche in vista del dopo emergenza”
L’indagine ha preso in considerazione quattro modelli di agricoltura: aree agricole urbane e periurbane, aree di agricoltura intensiva, aree di agricoltura a media intensità energetica e aree con agricoltura a bassa intensità energetica. E partendo dal dato medio nazionale di diffusione del Covid, ha evidenziato per esempio che nelle aree della Pianura Padana ad agricoltura intensiva si registrano 138 casi ogni 100 kmq, mentre in quelle ad agricoltura non intensiva la media scende a 90 casi. E poi ci sono le aree a media e bassa intensità energetica, quelle meno colpite dal Covid-19, solitamente caratterizzate da una maggiore cura del paesaggio, qualità della produzione e migliore qualità della vita tra cui figura anche la maggioranza – ben il 70% – del territorio toscano.
Solo l’11% della superficie regionale – continua il professor Agnoletti, che è anche a capo dell’Osservatorio del Paesaggio della Toscana – è occupata da aree con agricoltura intensiva e si concentra prevalentemente nel Valdarno, presso la pianura alluvionale di Firenze-Prato-Pistoia, nella Lucchesia e nella piana di Grosseto: esattamente le zone che hanno avuto una più alta incidenza di casi di Covid-19.
Le aree di agricoltura non intensiva potrebbero rappresentare un modello di sviluppo economico vincente se esaminato nel suo complesso: garantisce la sicurezza alimentare oltre allo sviluppo equilibrato di attività terziarie quali il commercio di prodotti tipici, il turismo e l’agriturismo.
Si tratta quindi di un nuovo modello di sviluppo dal quale ripartire, riflettendo sul fatto che queste aree non sono densamente popolate e posseggono quindi una migliore qualità della vita per la quale le nuove necessità di distanziamento sociale sono da considerare valori aggiunti.
Tratto dal corriere fiorentino del 20 aprile 2020.